La carta "di bianco lin candida prole"
Prof.Franco Mariani

Il miglior sottotitolo, e non è mio, che ho potuto trovare per questo mio breve intervento è: "La carta, nobile figlia di poveri genitori".

Vorrei farvi riflettere su cosa abbia significato la carta per l'uomo del Medioevo e dei secoli che seguirono, senza dimenticare che la sua presenza all'epoca di Gutenberg fece sì che quest'uomo inventasse la stampa a caratteri mobili sapendo che poteva contare su un supporto facilmente reperibile, flessibile e stabile ad un tempo.
La sua invenzione avrebbe avuto lo stesso valore senza la carta?
Pensate: una copia della Bibbia stampata in pergamena avrebbe richiesto, per le sue 1300 pagine (pari a circa 320 fogli), 80-90 pelli di ovino. Moltiplicatele per il numero di copie tirate, 185, e avrete circa 14.500 ovini. Un sacrificio veramente biblico!
Fortunatamente la carta girava già per l'Europa da almeno trecento anni, ed in questo lungo tempo aveva già raggiunto una qualità eccezionale, direi molto migliore - a conti fatti - di quella odierna.
E parlando di qualità, va ricordato che la migliore era appannaggio di una piccola cittadina della Marca, Fabriano, dove questa produzione aveva abbandonato la natura prettamente artigianale per assumere i caratteri di quella che oggi definiremo "industriale". La qualità della carta fabrianese era indiscussa, basti pensare che nei contratti di affitto di cartiere, già nel Quattro-Cinquecento, in Italia come in Europa, spesso si chiedeva al cartaio di garantire la produzione di carta "ad usum fabrianensem".
Ai cartai fabrianesi vanno riconosciute tre innovazioni nella fabbricazione della carta:
- l'aver adottato e adattato, per la sfibratura degli stracci una macchina, la "pila a magli multipli", fino ad allora impiegata nella feltratura della lana (altra attività fiorente a Fabriano);
- l'aver impiegato colla a base di gelatina animale per l'operazione di collatura dei fogli, una innovazione che ha conferito alla carta ottime caratteristiche di scrivibilità e elevata durata nel tempo del supporto;
- l'aver usato per primi la "filigrana" a garanzia del luogo di origine e della qualità del foglio prodotto.
Per questo, e per una tradizione secolare, Fabriano merita un posto d'eccellenza nella storia della carta e della tecnica in generale.

Ho detto "figlia nobile di poveri genitori": la carta è senza dubbio "nobile", non fosse altro perché su di essa ci sono stati tramandati i pensieri, le sofferenze, i sentimenti dei nostri antenati. "Poveri genitori" perché la carta, per oltre sette secoli è stata prodotta partendo da due materie prime veramente povere: stracci e acqua.
Non bisogna però pensare che questi poveri genitori fossero a loro volta facilmente disponibili.
Non tutti gli stracci erano adatti a produrre buona carta; intanto, non dovevano essere stracci di lana (con la lana non si può fare carta), ma di lino o canapa; poi dovevano essere di colore chiaro, meglio se bianchi perché davano origine a carta bianca, la più adatta per scrivere o stampare. Quelli detti "brunelli" e "scuri" originavano carta di inferiore qualità, buona solo per usi diversi, soprattutto per involgere merci o quant'altro.
L'acqua doveva avere particolari caratteristiche; non parlo di quella che doveva muovere i roteggi per le pile a magli, ma di quella che doveva portare in sospensione le fibre ricavate dagli stracci, e quindi non poteva essere l'acqua del dopo pioggia, perché la colorazione dovuta al fango avrebbe tinto la carta; non poteva essere l'acqua fredda di disgelo, perché avrebbe originato carta "dura", poco morbida; non poteva essere quella "ferma", estiva, che avrebbe originato pericolose muffe; e neppure poteva essere acqua di torrenti o ruscelli che attraversavano terreni carichi di minerali, in particolare ossidi di ferro, perché questi minerali, passati nella carta, avrebbero interagito con gli inchiostri, con conseguenze deleterie.
Non era facile fare carta, né ci si arricchiva.
Un lavoro faticoso e sporco, con orari impossibili, in ambienti malsani, umidi.
Un lavoro in balìa del caso: un argine rotto, una pioggia improvvisa, una gelata,…, tutto poteva vanificare lo sforzo di giorni. Per non parlare delle epidemie, delle pesti: allora erano veramente guai; spesso bisognava sottostare all'ordine di bruciare tutti gli stracci a disposizione. Niente stracci, niente carta, niente guadagno.
Che poi era misero, sufficiente a che la famiglia del cartaio, che tutta lavorava nella cartiera, ci tirasse fuori lo stretto necessario.
E anche quando andava bene non erano guadagni iperbolici, se si considera che un cartaio che prendeva in gestione una cartiera spesso doveva depositare una somma a garanzia, pagare l'affitto; doveva approvvigionarsi di stracci, lavorarli, fare i fogli, farli asciugare, poi collarli e quindi riasciugarli; e ancora, lisciarli, confezionarli e consegnarli ai mercanti per la vendita, con un esito incerto.
Se andava bene, il denaro investito rientrava dopo quattro - sei mesi!

Eppure una miriade di cartai - a Fabriano come a Lucca, ad Amalfi come a Isola Liri, a Foligno come a Toscolano - ha fatto carta, in condizioni analoghe, per secoli, producendo il supporto per eccellenza, al quale artisti, scrittori, poeti, re, papi, persone come me e come voi hanno affidato nel tempo i propri pensieri, i propri amori, i propri ideali.

Franco Mariani

Civitanova Marche, autunno 2000

*Docente di Storia del libro presso l'Istituto Superiore per le Industrie Artistiche di Urbino (del quale è anche direttore) e di Storia della stampa e dell'editoria presso l'Università degli studi di Urbino.
È socio dell'IPH (International Paper Historians) e della BAPH (British Association of Paper Historian), presidente del Centro Studi "A. F. Gasparinetti" e del Comitato Scientifico del Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano.