L’INTRODUZIONE DELLA “OLANDESE” NELLE CARTIERE DELLO STATO PONTIFICIO

di Franco Mariani*

L’industria della carta compì un progresso notevole nel XIII secolo, quando i cartai fabrianesi trasformarono la sfibratura degli stracci da operazione manuale (effettuata entro grandi mortai con pestelli azionati a mano) a operazione meccanica, sempre all’interno di mortai ma per azione di magli alzati e abbassati ritmicamente ad opera di un albero a camme mosso da una ruota ad acqua. Questa tecnologia, mutuata dall’industria laniera, rimase valida ed attiva per diversi secoli e poche furono le innovazioni apportatevi, anche se alcune rivestirono un certo interesse (fissazione di chiodi sulla testa dei magli, inclinazione dei magli stessi per favorire l’azione sfibrante, ecc.), ma che non mutarono nella sostanza il sistema di lavorazione degli stracci.

Per trovare una vera, sostanziale innovazione bisogna attendere la fine del 1600 quando in Europa comparve una macchina, denominata “olandese” (o “cilindro all’olandese”) perché realizzata in Olanda, che fu di notevole importanza per l’industria cartaria (e non solo per questa) e che, pur nelle diverse versioni assunte nel tempo, è rimasta in uso fino ai giorni nostri.

Il dispositivo è costituito da una vasca a sezione ellittica al cui centro è sistemata una parete divisoria che fa assumere alla vasca una forma a “ippodromo” entro la quale l’acqua può circolare con un percorso anulare. Su uno dei lati lunghi dell’anello, è disposto trasversalmente un cilindro di legno ruotante, munito di lame metalliche, al di sotto del quale - e a distanza ravvicinata - si trova una piastra di metallo. Facendo ruotare abbastanza velocemente il cilindro ed introducendo gli stracci, questi vengono trascinati dal moto dell’acqua e passando ripetutamente tra cilindro e piastra vengono sfibrati dando origine ad una sospensione di fibre (o “pisto”) analogo a quello ottenuto con l’operazione manuale.

L’olandese subì con gli anni alcune modifiche, che però non ne modificarono il concetto informatore; così le lame furono poste, oltre che nel cilindro, anche nella piastra sottostante, aumentando l’effetto sfibrante; alle lame di ferro inizialmente adottate, ne furono sostituite di bronzo; il numero di lame venne variato in funzione del grado e della velocità di sfibratura, ecc.

Di questa macchina non è noto l’inventore, forse perché la sua realizzazione non fu frutto di una sola persona, ma piuttosto il risultato di una lenta e progressiva evoluzione di dispositivi in uso da più vecchia data.

Gli Olandesi, pur avendo iniziato a fabbricare carta più tardi di altri Paesi, avevano però ben presto raggiunto standard di produzione elevati ed i loro prodotti - come attestato dalle grandi quantità di carta esportata - erano largamente apprezzati all’estero.

Un notevole impulso alle cartiere olandesi venne, indirettamente, dalla Francia, quando nel 1865 Luigi XIV revocò l’editto di Nantes e molti cartai francesi si trasferirono in Olanda portandosi dietro le cognizioni e le tecniche che possedevano; a questi anni si fa risalire la messa a punto della nuova macchina per la “molitura” degli stracci.

Le prime notizie di questo “ordigno all’olandese” - come spesso fu chiamato - si diffusero in Europa grazie a J.J.Becker che scrisse di averlo visto in funzione a Zaandan nel 1680 durante un suo viaggio in Olanda ed il cui resoconto fu pubblicato due anni dopo a Francoforte. Nel 1680 Becker era partito dalla Germania diretto in Inghilterra ma, a causa delle cattive condizioni del tempo, il veliero che lo trasportava impiegò ben 28 giorni per arrivare a destinazione. In questo periodo Becker ebbe modo di scrivere un volumetto (“Närrische Weiisheit und Weise Narrheit: oder Ein Hundert so Politische als Physikalische, Mechanische und Merchantilische Concepten und Propositionen”) che fece pubblicare dopo il suo ritorno in patria. In questa opera che riveste tanta importanza per la storia della fabbricazione della carta, Becker scrive: «Non si conosce chi concepì l’arte di fabbricare la carta, ma essa costituisce una bella e meravigliosa invenzione. Nel normale sistema gli stracci sono battuti con molti magli e molto rumore. Io però ho visto un nuovo tipo di cartiera a Serdamm [Zaandan], in Olanda, che non usa i rozzi magli, ma un cilindro col quale gli stracci vengono macerati a formare una sospensione senza difficoltà ed in breve tempo.» Il volumetto, pubblicato nel 1682, ebbe poi successive edizioni (nel 1706 e nel 1725).

Ricerche recenti farebbero risalire le prime applicazioni del nuovo dispositivo intorno al 1670: documenti degli archivi di Zaandan indicherebbero, infatti, che un gruppo di cartai nell’estate del 1673 rivendicava di aver introdotto miglioramenti all’olandese (uso di una platina di bronzo; coltelli, sempre in bronzo, di diversa forma) provando così che i primi esemplari della macchina dovevano essere anteriori a quella data.

L’architetto L.C.Sturm, che visitò Zaandan nel 1697, descrisse l’apparecchio in un diario di viaggio che però fu pubblicato solo nel 1718, ben venti anni dopo. In questo lavoro (“Völlstandige Mühlen Baukunst”) compaiono i primi disegni dell’olandese mentre in Olanda le prime tavole descrittive del dispositivo furono pubblicate ad Amsterdam solo nel 1734.

L’introduzione della nuova macchina comportava diversi vantaggi per i fabbricanti di carta, quali una maggior velocità nella sfibratura degli stracci, pari, secondo alcuni ad 1/6-1/8 del tempo richiesto dall’operazione nelle pile a magli. Il cartaio Kuferstein, della Sassonia, scriveva nel 1725 che a Friburgo in un giorno un’olandese forniva tanto “pisto” quanto otto pile in otto giorni. Altro vantaggio era l’eliminazione della fase di fermentazione adottata per facilitare la sfibratura. La maggior velocità di sfibratura consentiva, inoltre, risparmi di mano d’opera e consentiva di produrre più carta con gli stessi impianti.

Si sarebbe portati, quindi, a pensare che l’olandese venisse rapidamente adottata in tutte le cartiere, sostituendo le vecchie pile a magli; in effetti ciò non avvenne, anche se le affermazioni del nuovo dispositivo non mancarono: evidentemente fu largamente adottata in Olanda; in Germania sembra sia stata installata per la prima volta nel 1710, o nel 1712, in una cartiera bavarese, dove con una olandese si riusciva a preparare in 5-6 ore la stessa quantità di pisto prima ottenibile in 24 ore da 5 pile tradizionali. È certo che nel 1739 in tutte le cartiere di Augusta le olandesi avevano sostituito le pile a magli. Negli altri paesi, Inghilterra, Francia, Italia, la sostituzione fu solitamente più lenta. Diverse le ragioni e non sempre le stesse nei vari luoghi. Quasi ovunque era diffusa la convinzione che la sfibratura effettuata con le olandesi producesse fibre più corte rispetto a quelle ottenute con le normali pile; di conseguenza la carta prodotta presentava caratteristiche (robustezza, durabilità) inferiori. Così in Francia - dove la prima olandese venne introdotta nel 1840, a Montargis - fu emanata una disposizione, rimasta in vigore fino al 1861, in base alla quale la carta per i francobolli doveva essere fabbricata solo in cartiere dotate di pile a magli.

In Inghilterra la macchina fu adottata abbastanza presto: nella cartiera di Wansford, nel Northamptonshire, nel 1725 erano in funzione 4 pile ed 1 cilindro; in quella di Brumshott erano usate sia pile che cilindri (1725); ad Astley, Worchestershire, erano installate 10 pile e 1 cilindro (1736). Ma quasi certamente le prime olandesi non debbono aver dato molta soddisfazione se, nel 1750, una “Discussione” stimolata dalla Royal Society of Arts, per stabilire le ragioni della superiorità della carta per incisioni francese rispetto a quella inglese, portò alla conclusione che il motivo era da ricercarsi nella sfibratura degli stracci: con l’olandese in Inghilterra, nei mulini a pestelli in Francia.

La diffusione in Inghilterra dell’olandese fu notevole nella seconda metà del 1700 (sembra che a fine secolo esistesse una sola cartiera funzionante ancora a magli) quando nel paese furono impiantate diverse cartiere di grande capacità produttiva che si proponevano di operare su larga scala per vincere la concorrenza straniera. Sempre a proposito di Inghilterra, merita ricordare che nel 1786 nella cartiera Howard-Hougton, nei pressi di Hull, si tentò l’applicazione ai cilindri della nuova fonte di energia fornita dalla macchina a vapore di Watt, diffusasi dopo il 1780. Non sembra che il tentativo abbia avuto successo, visto che per il movimento dei magli e delle olandesi si usò, ancora per molti anni, l’energia idraulica. Anche in questo caso diversi furono i fattori che impedirono l’innovazione: sproporzione tra potenza erogata dalla macchina a vapore ed energia necessaria alle poche e semplici macchine di cartiera; ubicazione delle cartiere lontano dalle fonti di approvvigionamento del carbone, ecc.

La diffusione dell’olandese, oltre che da “difficoltà” tecniche, non sempre reali, fu ostacolata anche da pregiudizi e ostilità, dovuti spesso alla difesa ad oltranza di tradizionali modi di operare o di interessi preesistenti.

Significativo quanto verificatosi in Svizzera, a Basilea (1) dove il cartaio Niclaus Häussler nel 1727 introdusse in una sua cartiera l’olandese; altri cartai che avevano i propri opifici nelle vicinanze ricorsero subito (marzo 1727) al Consiglio di Città:

«I Sigg. ... (seguono i nomi dei cartai ricorrenti) come proprietari di diverse cartiere a St. Alban Loch lamentano che il Sig. Häussler contravvenendo all’ordine del 27 ottobre 1710 ha apportato a loro insaputa una alterazione al suo impianto idraulico che potrebbe risultare per loro svantaggiosa e pertanto pregano il Consiglio di voler far ispezionare e riferire in merito.»

Nel ricorso si dice anche che “il dispositivo potrebbe consentire di produrre tanta carta quanta se ne può fare in tre cartiere e quindi si prega che questa dannosa macchina venga abbattuta, altrimenti potrebbe portare alla rovina dei ricorrenti.”. Il Consiglio decise subito di incaricare il Consiglio dei Cinque di esaminare il problema, di udire le parti e, in caso di persistente disaccordo tra esse, di emettere una sentenza; nel frattempo ispezioneranno ed esamineranno le innovazioni introdotte. Il 15 marzo 1727 il Consiglio diede il suo parere, che così inizia:

«Niclaus Häussler ed i suoi antenati hanno sempre dimostrato diligenza e operosità nel cercare di migliorare la fabbricazione della carta. Ora egli ha installato una nuova macchina che gli consente di produrre carta di buone caratteristiche senza far uso eccessivo dell’acqua del Pond ...»

Sfortunatamente il verbale del Consiglio si interrompe a questo punto, e non se ne conosce il seguito, così come non è dato, purtroppo, di prendere visione della descrizione della macchina (l’estensore della minuta del verbale ha lasciato una pagina bianca in corrispondenza del punto nel quale avrebbe dovuto inserire la descrizione); il fatto che tale argomento non compaia in ulteriori documenti del Consiglio fa pensare che i contendenti abbiano trovato un accordo.

Comunque dal 1727 a Basilea si iniziò ad usare l’olandese insieme alle tradizionali pile: con queste si preparava una “mezza pasta” che l’olandese trasformava in “pasta intera”. Le pile rimasero in funzione ancora per molto tempo, visto che sono presenti in inventari di cartiere del 1822.

Altro ostacolo all’applicazione dell’olandese era rappresentato dalla struttura delle cartiere, spesso di dimensioni (finanziarie e architettoniche) modeste e non in grado di sopportare una macchina di costo e ingombro elevato. In Italia, in particolare, la maggior parte delle cartiere apparteneva a nobili, a monasteri, comunità, che le affittavano con contratti anche di breve durata, e né l’affittuario - che di solito conduceva la cartiera prevalentemente con i propri familiari - aveva interesse a pagare un maggior affitto per la presenza dell’olandese, né aveva interesse il proprietario, al quale tale investimento avrebbe difficilmente fornito un ulteriore introito. Una maggiore capacità produttiva ottenuta con l’uso dell’olandese non era da molti considerato un fattore di grande vantaggio in quanto avrebbe richiesto una più elevata disponibilità di stracci, mentre questi erano sempre tanto scarsi da costringere spesso a frequenti rallentamenti o arresti di lavorazione; un rifornimento di stracci provenienti da più lontano delle solite zone di acquisto avrebbe comportato un costo maggiore; ed ancora, non sempre una maggior quantità di carta avrebbe trovato una adeguata collocazione su un mercato geograficamente limitato quale quello nel quale operavano queste cartiere medio-piccole.

Tutte queste ragioni spiegano perché l’olandese, rivelatosi poi un dispositivo tanto versatile ed utile, sia entrato nell’industria cartaria così lentamente e perché tante siano state le perplessità per la sua accettazione. Va inoltre tenuto presente che allora gli scambi di informazioni erano piuttosto lenti, anche perché si cercava di tener “segrete” notizie che, in realtà, tali non erano.

Certo è che in Italia l’olandese prese a diffondersi dopo che ne erano comparse dettagliate descrizioni fornite dall’Encyclopedie francese (1751-52), dal La Lande (1761-62), dal Grisellini (1769) (3).

L’olandese, almeno agli inizi, fu costruita direttamente dai cartai, o da questi commissionata ad artigiani locali e realizzata in base a descrizioni fornite loro. Nei cilindri adottati in Olanda la rotazione avveniva per azione del vento, come nei mulini per cereali ed altri dispositivi meccanici: una (o più) olandesi erano collegate ad una grande ruota dentata, orizzontale; l’energia eolica meglio si prestava ad essere sfruttata per muovere un cilindro ruotante anziché i magli delle pile, a moto verticale alternato. È questo il motivo principale della rapida diffusione in Olanda del nuovo sistema di sfibratura. Esportata in altri paesi europei, il moto del cilindro fu affidato all’energia idraulica e, come sempre accade per apparecchi di nuovo tipo, a seguito di osservazioni dovute all’uso, anche per l’olandese furono introdotte modifiche e miglioramenti (ad es. l’adozione di lame anche sul “pavimento” al di sotto del cilindro, la conformazione “a sella” di questa parte del pavimento in sostituzione di quella piana originaria). In Europa l’olandese fu destinata, con limitate modifiche costruttive, a funzioni diverse: sfilacciatrice; affinatrice (per rendere più omogenei gli impasti e per privarli di agglomerati fibrosi); sfioratrice (per dilavare la pasta già affinata prima di immetterla nelle tine). Più tardi verrà usata anche come lavatrice per gli stracci, come sfibratrice della carta da macero, per l’imbianchimento, ecc.

 

L’installazione della prima olandese in Italia sarebbe avvenuta grazie ad un tale Valentino Galvani, in una cartiera di Cordenons, di proprietà di un nobile e fondata per concessione della Repubblica Veneta nel 1705. Il Galvani in una supplica del 1768, con la quale chiede agevolazioni per la spedizione di carta di propria fabbicazione a Trieste, accenna di aver sostenuto «considerevoli dispendi per riformare le fabbriche, imitando ed aggiungendo nuove macchine e le manipolazioni inventate nelle più celebri fabbriche oltremontane». Questa notazione convaliderebbe le successive rivendicazioni di priorità dell’introduzione della macchina “ad uso d’Olanda” fatta dal Galvani, che la avrebbe realizzata in proprio, sulla base di descrizioni lette.

Va ricordato che a quel tempo il La Lande aveva fornito una dettagliata descrizione della macchina, con dovizia di disegni e dettagli costruttivi, nel suo libro “L’Art de faire le papier”, pubblicato a Parigi nel 1761 e la cui traduzione italiana fu editata a Parma da Borsi nel 1762. E del resto la voce ‘cartiera’ nel “Dizionario delle arti e mestieri” del Grisellini (Venezia 1769) altro non è se non una libera trasposizione della descrizione del La Lande.

Subito dopo il Galvani furono i Remondini ad usare una olandese; non conosciamo l’anno preciso, ma è certamente tra il 1766 ed il 1768. Nel 1766 Gianbattista Remondini acquistò dai Tiepolo la cartiera di Oliero e subito apportò una serie di modifiche agli impianti, sostituendo, tra l’altro, i mulini a magli con “cilindri ad uso d’Olanda”. L’Infelisi dice che «il Remondini fu secondo nell’introduzione di detta innovazione unicamente a Valentino Galvani.» (4)

Altre documentate notizie dell’introduzione del nuovo dispositivo risalgono al 1770 e riguardano la presenza in due cartiere della riviera di Salò, una a Maderno, l’altra a Toscolano. La riluttanza dei fabbricanti veneti per l’olandese è testimoniata da quanto scriveva il provveditore di Salò nel gennaio 1781: «L’idea del lavatoio e cilindro ... non è affatto nuova a questi fabbricatori, essendovene anzi uno nella cartiera di Giuseppe Vicario, ma l’attuale giacimento di molte cartiere, la deficienza de’ materiali, lo scarso e limitato numero di operai e la critica costituzione di queste fabbriche, par che unitamente si oppongono all’insinuazione di adottare l’uso, mentre con l’introduzione di detti cilindri, non affluendo maggior quantità di materiali inservienti alle fabbriche [stracci] e non moltiplicandosi il numero de’ lavoranti, verrebbe per certa conseguenza a rimaner inutili molte altre cartiere a misura dei cilindri che in altre fossero introdotti». Analogamente scriveva il capitano di Brescia: «…li ho animati ad imitare l’esempio del Vezzoli erigendo il lavatoio e cilindro, ma chi oppose la spesa non lieve, chi il difetto dei siti non suscettibili  di maggiore dilatamento, e chi la scarsa copia delle acque non bastevoli all’intrapresa delle nuove aggiunte».

Da una statistica elaborata dal Mattozzi (4) risulta che nel 1781 nelle 138 cartiere che si contavano nel Veneto, figuravano installate 17 olandesi, che diventeranno 24 nel decennio successivo e 48 nel censimento del 1818.

Verso la fine del 1700, o ai primi del 1800, di fronte al miglioramento della qualità della carta ottenuto dalle cartiere che disponevano dell’olandese ed alla concorrenza fatta dalle cartiere estere (che già l’avevano introdotta), l’idea dell’acquisizione della macchina si fa sempre più strada, specie nelle cartiere che debbono comunque essere ampliate e più ancora in quelle di nuova costruzione che tendono ad assumere una struttura più industriale che artigianale, anche se rimane pesante la limitazione derivante dalla difficoltà di reperire quantità sempre maggiori di stracci e sempre più consistenti disponibilità finanziarie.

Quando, in Piemonte, Avondo acquistò dagli eredi del conte Salomone la cartiera di Serravalle Sesia, nel 1800, non esistevano cilindri all’olandese, ma quando nel 1811 ingrandì la fabbrica, ne fece costruire uno sul modello di quello già funzionante (non sappiamo da quando) in Valduggia presso i Mazzola, avvalendosi dell’opera di un certo “Mastro Gaudenzio e d’altri operai di quella Valle, già pratici del lavoro”. Nel 1825 le due cartiere Avondo disponevano di 4 cilindri olandesi che salirono a 6 nel 1830.

Anche in Liguria l’introduzione dell’olandese avvenne tardi e si affermò lentamente (4): solo nella prima metà dell’800 si trovano installati i primi esemplari, nonostante il grande numero di cartiere esistenti. I motivi del ritardo sono sostanzialmente gli stessi già descritti: frammentazione dell’industria cartaria in unità produttive di piccole o medie dimensioni, con poche pile, e per le quali non avrebbe avuto senso la sostituzione; la scarsità di stracci, che avrebbe vanificato la maggior capacità produttiva; la grande disponibilità di mano d’opera che rendeva inutile un risparmio in questo senso. Bisogna anche tener presente che per un certo periodo in cartiere della Liguria fu imposta, codificandola, una limitazione alla produzione giornaliera di carta per far fronte ad una marcata sovrapproduzione del bene. Inoltre i cartai liguri andavano fieri della qualità della loro carta, apprezzata ovunque (si parlava comunemente di “carta alla genovese” per indicare un prodotto di elevata qualità) ed esportata largamente - almeno in certi anni - ed erano quindi poco inclini a cambiare sistema di produzione con l’introduzione di una macchina che, secondo alcuni, non garantiva la qualità del prodotto finale.

In Toscana, che vantava antiche e solide tradizioni cartarie, l’olandese arrivò piuttosto tardi; a Pescia nel 1813 essa non era ancora presente: nel luglio di quell’anno il sindaco, inviando le informazioni richieste da Parigi sullo stato delle cartiere del Comune, scriveva: «Finora non esiste l’uso di cilindri nelle nostre cartiere. I fratelli Magnani erano al caso di far uso di cilindri olandesi se avessero potuto ottenere la privativa dal Governo per perfezionare la fabbricazione della carta e farla quasi uguale a quella d’Inghilterra.» Solo alcuni decenni più tardi l’olandese sarà adottata dai Magnani e dai Cini.

Nell’Italia meridionale l’olandese era ancora assente ai primi del 1800; nel 1809 I. Lafontant proponeva la costituzione di una società per azioni per l’installazione, vicino a Maddaloni (Caserta), di una cartiera all’olandese, fornita delle più moderne attrezzature, e per la quale chiedeva alcune facilitazioni e privilegi. Il progetto, esaminato da una commissione tecnica, fu approvato ma sorsero preoccupazioni per il possibile inquinamento dell’acquedotto che alimentava Caserta e dintorni (nonché una parte di Napoli) per cui ne fu consigliata l’ubicazione in altra località, nel territorio di Vietri. Le lungaggini burocratiche consigliarono Lafontant e soci a desistere dall’iniziativa. Fu solo nel 1812 che sorse la prima cartiera all’olandese nella valle del Liri, ad opera di C. A. Beranger che costituì una società con notevole capitale (50.000 ducati), acquistò macchine all’estero e sempre dall’estero fece arrivare personale specializzato; impiantò 4 olandesi (due sfilacciatrici e due raffinatrici) che facevano il lavoro di 48 pile a magli ed erano in grado di alimentare da 6 a 8 tine contemporaneamente, producendo carta velina (allora sconosciuta nel Regno di Napoli) e carte da disegno di ottima qualità che competevano con quelle estere. La cartiera del Liri sarebbe divenuta poi una delle tecnicamente più avanzate d’Europa.

Nelle cartiere in provincia dell’Aquila (6), ai confini dello Stato Pontificio, l’olandese fu introdotta ai primi dell’800. La cartiera di Vetoio nel 1800 venne migliorata con l’introduzione di un cilindro e poco dopo vennero migliorate, allo stesso modo, anche quelle di Tempera e di Celano (ma non quella di Sulmona).

La cartiera di Vetoio, di proprietà del conte Angelini, era condotta da affittuari e nell’atto stipulato il 28 ottobre 1803 con i Ferrari (padre e figlio) era previsto che al termine della locazione (1813) i conduttori fossero tenuti a restituire al locatore “l’edificio stesso e l’ordegno ad uso d’Olanda”.

 Per la cartiera di Tempera il 4 ottobre 1813 fra il proprietario Ignazio Niccolò Vicentini da una parte e L. Ferrari (lo stesso di Vetoio) e Giovanni Paolucci dall’altra, venne stipulato un contratto d’affitto “a migliorazione”, che prevedeva, cioè, che gli affittuari dovevano “aumentare fabbriche ed edifici con metterci tre pile e l’ordegno addetto ad uso d’Olanda nel corso di un anno da oggi almeno e fare tutte le altre migliorie che sono opportune e che dovranno essere approvate dal Sig. Vicentini.”. L’olandese fu poi effettivamente installata poiché la si ritrova nell’elenco dei beni allegato al successivo contratto d’affitto. La macchina fu costruita da un falegname di Pioraco; il Vicentini (7), in una conferenza tenuta alla Società d’Economia dell’Aquila (1833) così ricorda il costruttore:

«Merita di essere ricordato il falegname Gesualdo Ubaldini di Pioraco, il quale fu il primo che diminuendo il numero degli antichi mortai a mazzapicchi (i quali fanno 40 battute in ogni minuto) abbia nelle nostre cartiere costruito ordigni d’Olanda... i cilindri che facendo 138 giri al minuto ed un poco più di 11 giri e mezzo intanto che la ruota ne fa uno, operano per più mortai e nel più perfetto modo stritolano e sminuzzano gli stracci. L’Ubaldini fabbricatosi nel suo Paese una nuova casa ha sulla porta apposta l’iscrizione “Tempera e Vetoio” per così avvisare da dove coi suoi onorati sudori ne ha tratto i mezzi.»

Il maggior produttore di carta al tempo della comparsa in Italia dell’olandese era, senza dubbio, lo Stato Pontificio e a questa industria il Governo profondeva cure ed interesse, che però non sempre riuscivano a proteggerla dall’azione di trafficanti, contrabbandieri e speculatori, numerosi e sempre pronti a cogliere ogni incertezza di sorveglianza, i quali erano pronti ad esportarli fraudolentemente, con notevole danno dei cartai e - non pagandosi dazi di esportazione - anche dello Stato.

Verso la metà del 1700 si contavano nello Stato almeno una cinquantina di cartiere, molte delle quali di dimensioni relativamente modeste; questo numero salì in seguito: in una statistica delle cartiere dello Stato Pontificio (esistente nell’Archivio di Stato di Roma), nel 1816 si trovano elencate 65 cartiere con 443 pile e 26 cilindri (compresi due in cartiere all’epoca inoperose). Gli apparecchi erano così distribuiti: 5 a Fabriano, 2 a Pioraco, 1 a Subiaco, 6 nella zona di Foligno, 1 a Nocera, 2 a Faenza, 1 a Jesi, 2 a Fermignano, 1 a Bracciano, 3 a Roma (cartiere di S. Sisto e S. Pietro in Montorio).

La maggior parte di questi cilindri furono realizzati da artigiani locali, alcuni dei quali certamente prestarono la loro opera anche oltre i confini dello Stato, così come in passato avevano fatto i maestri cartai di Fabriano, di Pioraco, di Foligno, che erano andati a impiantare o dirigere cartiere nel Regno di Napoli, in Toscana, in Veneto.

“Frugando” negli archivi delle varie città o delle singole cartiere, o attingendo a fonti diverse, abbiamo trovato alcune notizie sull’introduzione dell’olandese nelle cartiere dello Stato Pontificio e riteniamo utile riferire su alcuni documenti che non risulta siano mai stati pubblicati; in particolare abbiamo saputo che, con tutta probabilità, la prima cartiera ad usare l’olandese fu quella di Bracciano.

Pietro Miliani, fabrianese, se non fu tra i primi ad introdurre un’olandese, fu certamente colui che ne costruì, in proprio, il maggior numero. Sappiamo per certo che la cartiera Vallemani di Fabriano adottò l’olandese nel 1782-84 e che tale macchina fu costruita su progetto del Miliani e sotto la sua direzione. Questi il 13 giugno 1780 aveva stipulato con il conte Vallemani un contratto di direzione-associazione per la cartiera di quest’ultimo, opificio che però al momento era affittato ad altri fino al febbraio 1782. Il Miliani subentrò come direttore e socio certamente prima di tale scadenza, fra il 1780 ed il 1781 e diede subito il via ad una serie di trasformazioni con piena soddisfazione del conte.

Abbiamo rintracciato una serie di lettere scritte dal Vallemani al Camerlengo (8) fra il luglio 1782 ed il marzo 1784 per chiedere assegnazioni di stracci, la cui mancanza si faceva sentire in misura crescente con conseguente vertiginoso aumento dei prezzi. In queste lettere il Vallemani fornisce anche importanti notizie, specialmente riguardo l’andamento della sua cartiera. Così dalla lettera datata 12 luglio 1782 apprendiamo che il nobile fabrianese aveva in costruzione una olandese e che - a suo dire - la prima entrata in funzione nello Stato Pontificio era stata installata nella cartiera di Bracciano, dagli Odescalchi: «... io mi trovo contento delli utili che ho risentito nel primo anno, né mi perdo di coraggio in questa mia nova fabbricazione. Procuro di soddisfare alla meglio tutte le Commissioni ch’anzi entro pochi mesi spero render compiuto l’ordegno ad uso d’Olanda; nello Stato Pontificio, fuori di Bracciano, non è a mia notizia che vi sia in altra cartiera. Con questo nuovo ritrovato si avrà carta migliore, dando fuori la pasta più affinata e pulita.»

In una successiva lettera del 29 marzo 1784 si legge: «Il bisogno di stracci mi si accresce sempre più stando per terminare il molino ad uso d’Olanda che ne fa gran consumo, ma rende la carta assai più perfetta e spero di soddisfare meglio in avvenire codesti incisori dei Rami che senza commetterne in lontane parti potranno valersi di questa che già l’anno sperimentata per buona ...»  Ancor più significativo è quanto riportato in un atto redatto dal notaio Costantino Merli dal quale il Vallemani si recò di propria iniziativa  il 26 aprile 1785, cioè molto prima della scadenza del contratto con Miliani [9]: «... per dimostrare al Miliani un segno di gratitudine e liberalità per l’assistenza da esso Miliani usata nella medesima in occasione della fabrica per il nuovo edificio, o sia Ordigno fatto ad uso d’Olanda, per servizio di essa cartiera da esso Sig. Miliani ... [il conte] promette e si obbliga di ritenere in società il Miliani non per il tempo convenuto, ma fino a che il medesimo naturalmente viverà e mancando il Miliani di vivere quante volte li figli del medesimo saranno e si riconosceranno capaci ed abili ad invigilare...» Non ci sono, quindi, dubbi sul concorso del Miliani alla costruzione della macchina. Una seconda olandese dovrebbe essere stata installata a breve distanza di tempo, dal Miliani in una propria cartiera; lo si deduce da alcuni passi di lettere a suoi clienti: il 16 agosto 1784 comunica di essersi accinto ad una spesa considerevole per «una nuova fabbrica con un ordigno ad uso d’Olanda...»; e poi nel maggio 1787: «ora che ho terminato la fabbrica e lavora il nuovo ordigno...», e ancora nel luglio dello stesso anno: «ora ho terminato l’ordigno e si lavora molto..».

L’olandese di cui si parla in queste lettere non è quella della cartiera Vallemani; lo si deduce dalle date ed è confermato da una statistica successiva delle cartiere dello Stato Pontificio nella quale le cartiere Miliani figurano con due olandesi, che non possono essere che quelle citate in quanto nella corrispondenza o in altri documenti posteriori non si parla dell’installazione di apparecchi analoghi, fatta eccezione per quelle costruite dal Miliani per Bertoni e per Pioraco.

Vincenzo Bertoni era fabbricante di carta a Faenza; nel dicembre 1785 Pietro Miliani lo invitava a recarsi a Fabriano per visitare la cartiera ed il nuovo “ordigno”. Bertoni non vi si recò, mentre Miliani, in un suo viaggio a Bologna nella primavera del 1788, si fermò a Faenza suo ospite, e in quell’occasione Bertoni gli commissionò la fornitura di una olandese da consegnare entro il settembre successivo. Tornato a Fabriano, Miliani ordinò due stanghe di ferro a un artigiano di Subiaco e si dedicò alla nuova impresa scrivendo più volte al Bertoni per tenerlo al corrente dell’andamento del lavoro; lo avverte del ricevimento delle due stanghe di ferro, del procedere dell’opera dei falegnami, dell’arrivo delle lastre di piombo, della preparazione di alcune parti in ferro,...

Il 25 settembre 1788 la macchina è pronta e viene spedita a Faenza su quattro carri; il 30 dello stesso mese Miliani va a Faenza per montarla, operazione che deve aver richiesto circa un mese, tale è il vuoto presente nell’epistolario del fabrianese (10). L’olandese, della cui realizzazione non si conosce l’importo pagato da Bertoni, riscosse la piena soddisfazione del faentino.

Una quarta olandese fu costruita dal Miliani per una cartiera di Pioraco: nel 1802 per far fronte alle frequenti mancanze d’acqua in Fabriano che ostacolavano la lavorazione e pregiudicavano le consegne, Miliani pensò di prendere in affitto una cartiera a Pioraco, località abbondante di acqua di buone caratteristiche e nota per la presenza di diverse cartiere. Insieme a Mattioli di Albacina prese in affitto la cartiera di proprietà dei Bezzi, nobili di Tolentino, e già condotta da Bernardino Oradei, e provvide subito a fornire la cartiera di una olandese che entrò in funzione nel marzo 1803.

Miliani, oltre che fabbricante di carta di notevole statura fu anche artigiano di grandi capacità, interessato a tutto ciò che poteva riguardare il proprio lavoro, attento alle innovazioni ed a quanto potesse consentirgli di arrivare a produrre carta di qualità elevata per poter rivaleggiare con i migliori fabbricanti di Olanda e Inghilterra, allora reputati i migliori. Non deve quindi meravigliare che sia stato il progettista ed il costruttore delle quattro olandesi sopra ricordate.

Non molto lontana da Fabriano era Fermignano, la cui cartiera - una delle più importanti dello Stato Pontificio - era dotata di due olandesi. Questa cartiera funzionò ininterrottamente per quasi cinque secoli, per buona parte sotto la direzione della Cappella del SS. Sacramento del Duomo di Urbino alla quale il duca di Urbino, che ne era il proprietario, la donò nel 1507. E proprio nell’archivio della Cappella abbiamo rintracciato alcuni interessanti documenti (11) che ci indicano il nome del costruttore delle macchine, i costi, i materiali e le modalità dei relativi contratti, elementi questi finora mai ritrovati per le olandesi di altre cartiere e che pubblichiamo integralmente in appendice.

Il costruttore dei due cilindri è tale Romualdo Caprisciotti che si dichiara “ingegnere e fabbricatore” e fornisce come referenza l’aver già costruito altri due cilindri: uno per il cav. Ripanti, proprietario della cartiera di Jesi, ed uno per una cartiera di Pioraco (forse per la Vittori?).

I due cilindri furono costruiti il primo nel maggio 1791, il secondo agli inizi del 1817. Del primo disponiamo di precise informazioni circa il costo. Infatti, in occasione della cessazione del contratto di affitto della cartiera a G. B. Corradi (1815) il Caprisciotti fu chiamato - insieme all’ingegner Crescentino Nini - dalla Cappella per periziare il cilindro da lui costruito nel 1791. I periti valutarono l’ordigno, dopo 24 anni di esercizio, 107,50 scudi; nel verbale di perizia è riportata la ripartizione dettagliata del costo sostenuto inizialmente per la realizzazione del cilindro: 265,65 scudi. Così ripartiti: 52,50 per l’acquisto delle varie parti in legno, 82 per le parti metalliche, 100 per la fattura delle parti, 31,15 per materiali e mano d’opera dei muratori.

A distanza di 25 anni la Cappella decise di dotare la cartiera di un secondo cilindro e si rivolse sempre al Caprisciotti. Il contratto d’opera venne sottoscritto il 2 dicembre 1816 ed il costruttore si impegnava a fornire l’ordigno nel giro di due mesi e mezzo a partire dal giorno nel quale avrà la disponibilità di tutto il materiale occorrente. Il compenso previsto era di 55 scudi. La specifica delle spese, per 234,10 scudi, comprenedeva parti in ferro (per palo, straneatura, cerchi, bilichi) per 29,10 scudi, legno stagionato e verde per 40, lavorazione del ferro per 15, fattura dell’ordigno per 140, lavoro del muratore per 10. Era inoltre previsto l’obbligo da parte del costruttore di mantenere per un anno il dispositivo in ottimo stato, rispondendo anche di eventuali danni che lo rendessero inoperoso. La responsabilità riguardava solo il lavoro di falegnameria e non quelli del fabbro e del muratore. A garanzia il Caprisciotti allega una fidejussione rilasciatagli dal sacerdote Niccolò Damiani, di Fermignano, approvata dai suoi superiori.

Il cilindro fu finito e consegnato nei termini contrattuali ed entrò in funzione con piena soddisfazione di tutti, tanto che nel Consiglio di Cappella del 25 febbraio 1817 l’affittuario della cartiera propose di far “ristabilire” il precedente cilindro (quello del 1791); la proposta venne accettata purché l’affittuario, che in tal modo poteva aumentare la produzione, pagasse tutte le spese occorrenti e si assumesse la manutenzione di entrambi i cilindri e fosse responsabile di eventuali danni apportati alle strutture murarie. Tra le parti fu redatto uno specifico contratto nel quale si prevedeva che i due cilindri venissero montati uno di fronte l’altro, sullo stesso asse, così da poter funzionare contemporaneamente; il contratto prevedeva anche che dall’entrata in funzione degli ordigni l’affitto della cartiera sarebbe aumentato di 10 scudi annui.

Per le olandesi di altre cartiere non abbiamo trovato, almeno finora, notizie particolari specie per quelle di Foligno, alcune delle quali dovrebbero essere state installate prima della fine del 1700. Per la cartiera di Bracciano oltre alla notizia riferita dal conte Vallemani, secondo la quale l’olandese introdotta in tale cartiera sarebbe stata la prima dello Stato Pontificio, abbiamo ritrovato una descrizione, non molto chiara, in un inventario allegato ad un contratto di affitto stipulato fra la Casa Odescalchi e Vincenzo Nelli, il 2 luglio 1801.

Franco Mariani
Civitanova, autunno 2003
(Il presente contributo è stato pubblicato su “Cellulosa e carta”, 1992)

Direttore e docente di Storia del libro - ISIA di Urbino.
Docente a contratto di Storia della stampa e dell’editoria – Università degli studi “Carlo Bo” - Urbino

BIBLIOGRAFIA
(1) W. FR. TSCHUDIN, The ancient paper-mills of Basle and their marks, Hilversum 1958, p. 34.(2) R. L. HILLS, Papermaking in Britain (1488-1988), Londra 1989
V. anche: D. HUNTER, Papermaking. The history and tecnique of an ancient craft, New York
(3) F. GRISELLINI, Dizionario delle arti e dei mestieri, Venezia 1769.
(4) I. MATTOZZI, Produzione e commercio della carta nello Stato veneziano settecentesco, Bologna 1975; AA.VV., Produzione e circolazione libraria a Bologna nel Settecento. Avvio di un’indagine, Bologna 1987.
V. anche: A. FEDRIGONI, Industria veneta della carta dalla seconda dominazione austriaca all’Unità italiana, Torino 1966, p. 29; M. INFELISE, I Remondini di Bassano, Bassano 1980, p. 53.
(5) M. CALEGARI, La manifattura genovese della carta (Sec. XVI - XVIII), Genova 1986.
(6) U. SPERANZA, Notizie storiche sulle cartiere di Vetoio e Tempera, in Boll. Dep. Abruzzese di Storia Patria (1974), pp. 429-90.
(7) I. N. VICENTINI, Discorso intorno alla carta e sul miglioramento delle cartiere della Provincia di Aquila, Aquila 1933.
(8) Archivio di Stato di Roma, Camerale III, b. 996.
(9) O. ANGELELLI, L’industria della carta e la famiglia Miliani in Fabriano, Fabriano 1930, p. 21
(10) A. F. GASPARINETTI, Pietro Miliani fabbricante di carta, Fabriano 1963.
(11) Archivio della Cappella del SS. Sacramento di Urbino, Titolo II, b.9, fasc. 9

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